Il Mondo di Eugenio Tomiolo (E.T.)

Scritti vari


Il mirabile gioco di E.T.

di Marco Fragonara, 1996

«In fondo l'arte è silenzio o dialogo con il divino, che al massimo brontola». Con questa affermazione Eugenio Tomiolo ama sintetizzare tutta quanta la sua vicenda esistenziale di pittore, di incisore e di poeta in dialetto veneto, ritenendo il fare artistico un continuo incontro - o piuttosto uno scontro - con la spiritualità.

E se «siamo tutti degli elemosinanti in mano alla provvidenza», che non sempre agisce con chiarezza, è necessario che l'artista mostri la capacità di sapersi contraddire pur di dare vita alle immagini mentali della realtà, afferrando quelle forme, che egli già possiede e che solo le esperienze dello stupore e dell'emozione possono restituire nella loro concretezza.

Convinto di porsi al di fuori di ogni accademismo, già a partire dagli anni Trenta con la sola guida di un libretto di Melis Marini e un tiracopie per manifesti, Tomiolo inizia pertanto a eseguire le sue incisioni, che oggi ammontano a quasi millecinquecento lastre, senza lasciare spazio né alla casualità, né all'improvvisazione, come dimostrano oggi i suoi quindicimila disegni, tutti progetti per olii e incisioni. E' questa un'arte che si nutre di continui errori e perenni mutazioni, indispensabili secondo Tomiolo, per sfiorare il miracolo della realtà attraverso il quale parla l'Assoluto. Da qui la sua particolare concezione di bellezza, che per l'artista è condizione di infelicità e di insoddisfazione. Essa infatti è linguaggio divino che costringe a perpetuare la ricerca sotto la guida dell'ispirazione, intimo strumento donato per offrire solo alcuni lievi riflessi del mistero - proprio di ogni produzione artistica - in innumerevoli specchi, ma ossidati.

E se «vardo natura farse allegoria / che la se volta per mostrarme el viso» (1) - come ha scritto recentemente Tomiolo - all'artista non resta quindi che raccontare storie mirabili, dettate proprio dal sogno, perché «disperar xé desmentegàrse el vero, / el viver disperai xe salvamento» (2)

L'ecclettismo stilistico e contenutistico, di cui spesso questo incisore è stato accusato in sede critica, diviene di conseguenza indispensabile per svelare i molti simboli dietro ai quali risiede l'opera, espressa sia attraverso un impianto figurativo sia con l'essenzialità di segni, che si collegano alla pittura primitiva o all'incisione rupestre. Ne consegue che gran parte della produzione artistica di Tomiolo è debitrice del pensiero mistico ed esoterico, al quale quest'artista è giunto, certamente non per via speculativa o astrazione intellettualistica, ma in modo, per così dire, naturale, nonostante egli abbia avvertito le influenze di questo secolo, a partire dalle suggestioni della scuola romana negli anni Trenta, fino alle tendenze popolari del realismo degli anni Cinquanta.

Rappresentano una testimonianza di questi due differenti indirizzi l'acquaforte su zinco intitolata "Soldato" del 1936 e, quasi per opposto, le dodici tavole de "La Resistenza", eseguite nel decennio successivo.

Ma è soprattutto la vena fantastica ed ironica ad accompagnare Tomiolo in quegli anni, anche quando denuncia la corruzione del sentimento umano, riservando per sé la dimensione del sogno, quale luogo per rivitalizzare l'innocenza, come accade nelle molte incisioni portate a termine negli anni Sessanta e nel decennio successivo, delle quali Luna e Cavallo sono gli esempi.

Nelle opere di questo periodo viene così avvertito un impulso astratto-surreale, espresso da segni particolarmente energici nella loro essenzialità e da strutture compositive che via via si fanno sempre più ritmiche, nel delineare forme che vogliono solo alludere al tema rappresentato, attraverso segreti richiami ad un significato che rimane nascosto nell 'inespresso.

Si fanno strada pertanto le rappresentazioni di emozioni mentali come in "Innamorati" del 1975 o in "Nudo con grappolo" dell'anno successivo, che recuperano una mitica età paradisiaca, luogo di benessere e di felicità. Eppure si continua a parlare delle vicende della vita e della loro mutevolezza, anche se compaiono nuove utopie, necessarie all'esistenza, affinché essa non scada in deliri insistenti. Ecco quindi riaffiorare il tema dell'acqua, come in Marina - che già Tomiolo aveva ritratto nelle serie "Laguna", "Piccola Laguna" e "Le Maghe" - simbolo del farsi e del disfarsi, di ciò che è flessibile ad ogni forma, che nel contempo plasma e modifica con forza.

Il simbolismo dell'acqua, con i suoi rimandi alla morte e alla rinascita, introduce così il significato del tempo sotto la cui legge ogni individuo è sottomesso. E' proprio questa caduta nel tempo a divenire tuttavia necessaria per il soggetto, se egli vuole vivere con intensità il quotidiano, che comunque corrompe e svuota di ogni sostanza. E come nel pensiero mistico, anche nelle opere di Tomiolo - soprattutto quelle di questo ultimo ventennio - una volta dissolti tutti i legami della ragione, ogni realtà, anche la più piccola, torna a mostrare con forza la pienezza e la ricchezza di significati. Infatti l'artista è ormai divenuto consapevole della perdita del senso originario e del distacco da una mitica felicità. Giunti quindi al fondo dell'anima, si assapora un particolare nulla che penetra l'umano trasformandolo fino a distruggerlo come individuo, affinché egli possa padroneggiare sia sull'identico che sul diverso.

Senza porsi i perché delle cose, ora Tomiolo si esprime attraverso una libertà stilistica e formale che non deve rendere conto a nessuno, dato che parla dello spirito e nello spirito e di conseguenza la sua immaginazione comprende il mondo nella sua totalità, anche quando si sofferma su un piccolo Tordo secco, come nell'acquaforte del 1992.

E' quindi questa nuova tensione al nulla, sinonimo di edificante completezza, a rendere manifesto il gioioso senso del vivere.

La volontà di assoluto induce pertanto Tomiolo a offrire musiche «che le vada al Cielo, /che nassa ben el verso, che'l sia belo, / vegna eleganza par ornar la cosa» (3). In questa esperienza della finitezza e del relativo torna quindi la nostalgia di un passato mitico, ormai perduto a causa del necessario errore, che rende veramente uomini e artisti, purché «in questo zogo che no ga perdono / femose cosse che le sia d'amor!» (4).

Marco Fragonara

1996 - data incerta

1 «Guardo la natura farsi allegoria / che si volta per mostrarmi il viso», da: «El mondo xè pitura e mi ghe stago», in: Eugenio Tomiolo, Farse la luna, Liboà Editore, Dogliani 1994.
2 «Disperare è dimenticare il vero / il vivere disperati è salvezza», ibidem.
3 «Musiche offriamo che vadano al cielo, / che nasca bene il verso che sia bello, / venga eleganza per ornar la cosa», da: «Restio son mi de compararme piere», ibidem.
4 «In questo gioco che non ha perdono facciamoci cose che siano d'amore», ibidem.


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