Il Mondo di Eugenio Tomiolo (E.T.)

Scritti vari


Da "Carta Antica", pacco n. 39 - Appunti e considerazioni di Eugenio Tomiolo

Amore è intendere, intendere senza amore non è dato. Bruciare le passioni per farne stile: Stile e unità sono sinonimi; unità vuol significare universale.
La personalità in arte è un fatto nervoso. L'universale è impersonale; sommo valore per un'opera è l'universalità.

Ogni espressione esclude le altre; il colore, perché il più intimo, è anche il meno personale dei mezzi. Il colore, solo il colore, può essere universale. Non c'è pittura vera che non sia solo colore.

Balbettare una parola aderente la vita, questo è il dovere degli artisti. La pittura non si muove nei limiti finora dati. (E.T. 48)

Un rosso che prevale su un verde non è nell'universale, un verde che subisca un giallo non è un verde, e così per ogni colore. In pittura il colore che non abbia in sé tutti gli altri in poca o grande misura non è un colore!
Il colore è apparenza, la forma peso, non esiste forma senza colore, esiste invece colore senza forma. La forma è un prodotto della mente, la mente è finita ed esprime misure e relazioni.
Il colore trascende la forma, non solo, ma ha la potenza di farla vivere e percepire. Questo scritto è prima di tutto nero su bianco che viene percepito da noi come tutti i colori; è in essi lo scritto, che è quasi nessun colore. La prima ragione che ci fa percepire è colore; può essere scritta qualsiasi cosa, ma il significato dello scritto non altera il rapporto di realtà che esiste su questo foglio.

Una convinzione genera pensieri ed idee anche se questa è solo sentita oppure no, mentre un'idea non può dare origine a convinzioni, se più questa idea non contenga in sé qualche cosa di una convinzione. Una convinzione è uno stato d'animo, cioè un colore o una fede.
I pittori che per un complesso d'interessi, in ambienti provinciali come Milano, fanno dell'isolazionismo prendendo a prestito oltre la cinta daziaria di quella cultura, non possono che uscire a lato; impongono cioè un'arte non viva facendosi sostenere da un mercato falso che, a un certo momento, determinerà una crisi di scambi e di produzione opponendosi alla libera emanazione dell'arte, elemento più vivo e facile da commerciare, alimento di uso comune in società relativamente sane.
Più che la faccia delle cose, l'aspetto delle cose; questo per superare una facilità oggettiva e salire ad un'agevolezza che dia modo di toccare certi vertici ancora impossibili.

Dalla facondia all'eloquenza. Non si possono disprezzare le cose dell'arte, le osservazioni generali senza le quali nessun studio è possibile, rigettate le quali è un perdere il frutto delle esperienze raccolte e dei lavori tentati.

Della mansione del mercato. Un mercato falso fa falsi gli artisti veri e così l'arte a sua volta muta e si volge in polemica. (E.T. 48)

Le relazioni lineari che costituiscono i confini delle differenze dei colori, i contorni che limitano i campi sintetici, sono l'unica gabbia dove si possa controllare la validità del racconto. A differenza di certa antica scuola, che costruiva, secondo i canoni di origine matematica, un canone che rappresenta per loro la bellezza, elemento che è assurdo considerare aprioristico, come canonico. La bellezza corrisponde alla realtà attraverso un uomo intimamente bello e cioè reale e vivo. I pittori del 900 si rifacevano alla scuola canonica in relazione ad una involuzione già avvenuta.

Il pittore ha davanti a sé delle immagini e dentro sé altre immagini; la scelta di determinati profili e colori dell'immagine costituiscono una serie d'elementi buoni per il lavoro che, per essere tale, deve avere un'insieme di linee e colori che esprimano un'immagine. Dunque da come il pittore, dal senso generale a quello particolare, traccia e compone questi elementi, nascerà il quadro; necessita dunque un linguaggio che abbia fra sé relazioni e chiarezze.

Gli elementi non possono essere presi a prestito da altri linguaggi pittorici nel tempo e nelle personalità, ma direttamente dal linguaggio parlato e vivente e cioè dalla vita che è permanentemente offerta all'osservazione.

La grandiosità, cioè la naturalità di una cosa dipinta, sta nella grandezza dei suoi piani architettonici espressi dal colore. Quando un oggetto è ben dipinto si deve avere la precisa sensazione di un infinito che compenetri quanto vi è di logicamente infinito ed illogicamente finito, (sempre come sensazione), dentro l'oggetto; che il colore sia sempre in fortissimo e cioè sul punto che precede l'esternazione per eccessivo contrasto.
Credevo, erroneamente, che l'armonia avesse origine da una serie di tentativi armonici, invece è il contrario. Ottimi contrasti, con apparizione di forze, formano un oggetto a quel certo punto ove più in là o più in qua non sarebbe più nulla.
Tutti questi fatti, sotto l'influsso del segno creativo e non speculativo, producono la creazione che ha in sé il nome per spiegare a sufficienza quale non può che essere lo spirito, l'essenza di chi opera e realizza concretamente qualche cosa di artistico.
Preferisco (in pittura) un crudo pittore privo di poesia ad un pittore poeta che sia più poeta che pittore.
La bellezza sta nel vago, reso così plasticamente evidente da diventare perfettamente incomprensibile.

Gli oggetti illuminati hanno un alone; la parte in luce è composta di giallo, rosso, cremisi; quelle in ombra di azzurro, indaco, viola pallido. Un oggetto in luce, con fondo in ombra, produce un alone azzurro verso la fonte luminosa, giallo-rosso dalla parte opposta; oppure sarà così: la luce è azzurra, i riflessi rossi e gialli. (E.T. 48)
Non più la forma esteriore, la forma confina con lo spazio, e l'oggetto è in esso, ma l'azione dell'oggetto stesso; così il suo spazio e lo spazio che con lui combacia, i rapporti vivi fra lo spazio e l'oggetto, tutto è moto e lo spazio-materia sono in lotta di equilibrio.
L'oggetto non frantumato a titolo dimostrativo, euclideo, ma in sé come attore ed agente di uno spazio che a sua volta agisce, con in più una presenza soltanto visiva, ma trascendente nella sua immanenza, produce il fatto meramente visivo.
Un quadro, per essere tale, deve esprimere realmente una quantità sensibile di attimi e sensazioni; la struttura poi delle cose, dato che è sempre, per un artista, relativa al fatto che egli sente e vede e trasmette, deve essere secondo questa evidente relazione fra l'uomo e tutto il resto, possibilmente espressa come base di questa nuova realtà che ne è l'opera. Bisogna averne cioè, una impressione concreta.
Per esempio, un pezzo di limone su di un tavolo è, innanzitutto, un rapporto di varie realtà riassunte nella sintesi, ma il processo per arrivare alla sintesi è vario quanto vari sono gli osservatori. La ragione del così scarso divario esistente fra l'opera degli artisti in genere, dipende dal fatto di accettare la realtà come un fatto incontrovertibile, ma la catena di forze che possono originare risultati infiniti, raramente sono ricercate dai pittori, e ogniqualvolta che un artista ci s'impegna con successo, nasce una nuova scuola.

Il colore, come complemento, è un atto sbagliato in pittura, perché una cosa non è mai un'altra e varia in rapporto al suo paesaggio che non solo la "circuisce" ma la compenetra, la connatura e la esprime. Il colore è quindi di un'importanza pari ad ogni altro elemento, non solo, ma ne è anche una sostanza inalienabile.
Un limone non sarà mai altro che un limone e cioè una entità che determina altre sostanze a concludersi transitoriamente in limone. Si pensi alla sintesi di ciò e ne troverete tutti gli elementi indeterminati che, a un certo punto, per un miracolo, si specificano tutti in un indubbio senso.
L'esprimere questi elementi con acutezza con le varie relazioni imponderabili, costituisce un moto di pittura. Per chi dipinge la sintesi cubista, rappresenta appena un lato dialettico del problema, sacrificando il meglio, per il trionfo di un certo stile espressivo. E' evidente che la proposta, se pur brillante, è sempre polemica, cioè parte da un apriorismo che se apre una porta alla meraviglia, chiude tutte le altre all'universale.
L'espressione concreta invece, costruita secondo la sintesi dell'oggetto nei suoi vari equilibri, ne compone (e non scompone) le ragioni costitutive secondo una nuova dimensione che chiameremo senza nome, appunto, perché un'impressione concreta, ne rilancia il problema all'infinito, realizzando però l'opera, che ne sarà documento e testimonianza.
L'arte riguarda direttamente il mondo morale, la decorazione: quello estetico. Almeno, per quanto concerne il pensiero cristiano, vuole dare la modernità. La quale precede gli avvenimenti che portarono al vertice la filosofia dell'utile, ora dominante. Le persone di poca cultura credono ad un (pensiero) notevole di correnti, sul palcoscenico del mondo, mentre non è così. Tutta la vita «civile» è governata dalla banca e dal giornale, cioè dalle società anonime.

(Circa il chiaroscuro) - ottobre 1948
Si può continuare a muoverle le parti, a scardinare, a ristrutturare, sarà sempre qualcosa che sposta ed arriva a determinate scelte ma limitatamente all'ingegneria e all'estetica, e questo non è poco, ma bisogna ricordare che le cose sono composte da forze che danno la cosa come un risultato, come un momento drammatico, ciò che invece da in un solo momento e per sempre una cosa in pittura è la luce fissa, diciamo assoluta. (E.T. 48)
La caratteristica del linguaggio di un'opera deriva dalle idee e dalla espressione scientifica dell'epoca in cui è stata realizzata, mentre l'essenza poetica rimane sempre nella radice invariabile dell'aspirazione umana; è nella certezza che nel mare ancora sconosciuto risieda ogni felicità e bellezza vera.
C'è una strana cosa - il contrario delle intenzioni, a volte, si afferma malgrado l'intenzione finisca col governare ed organare l'opera che ne risulta una sintesi - è da tener conto quanto sia necessario rinunciare alla personalità per non cadere nell'ovvio e insufficiente che in essa è nascosto per salire diritti all'individualità che è quel che di noi, che non è eccentrico, e che in certi casi si chiama anche senso comune. (E.T. 48)

Questa è un'idea che non mi viene da una posizione di pazzia logica, ma da qualcosa, dal di dentro, come un bisogno incontrollabile. La forma, che ha origini dall'apatia, ha servito, da Piero della Francesca fino ad oggi. Indubbiamente servirà sempre, ma qui io sento quel mio bisogno - spero ardentemente che non sia un abbaglio d'origine arida - di origine prefazionale. Certamente il colore è inteso non come passivo, ma come modo di esprimere, di rappresentazione icastica, dell'immagine stessa.
In realtà siamo noi che, dipingendo, ci spostiamo sul piano del quadro. Dunque siamo realmente noi che passeggiamo per il paesaggio osservandone di volta in volta gli oggetti e intuendone i sensi. L'ordinamento conico che faccia capo ad un punto è dunque un limite di carattere scenografico e non pertinente la vera pittura in senso assoluto.
Questa risultante simultanea sarà necessariamente una cosa nuova. Come realizzarla? Certamente partendo ancora dalle dimensioni reali della pittura e cioè dalle prime due; e un'altra sarà il colore, e un'altra il ritmo, e un'altra fatta dagli accadimenti, e così via.

È verissimo che ciò che ieri costituiva una magnifica libertà oggi costituisce una tirannia e ciò perché tutto invecchia assai presto e il solo valido conservatorismo è la continua rivoluzione. Non ci sono ripari e pause nella vita, ma solo moto; la staticità è pazzia, la libertà progressiva è possibilità di vita.
Continuare la creazione della natura, risolvere le sue forme secondo una umana dimensione. Quali sono le future avventure di un granchio secondo il suo rapporto di forme, nella mente dell'uomo? Posto che un granchio abbia avventure, e questo è improbabile, quali sarebbero se lo fossero? Quale la storia inventata come favola, quali gli stupori che rendono possibile il prodigioso? (E.T. 48)

Ciò che ci permette di rendere vaghi i limiti che ci sono posti dalla creta è il vino. Con l'aiuto del vino si possono imparare molte cose e soprattutto che la nostra natura è più forte di noi; è inutile tentarla, possiamo solo moltiplicarne le possibilità. (E.T. 48)
Infine, tutta la modernità consiste nel non credere più nel luogo, nell'aver capito l'inutilità dei concetti spazio-tempo e nell'agire liberamente, nell'esprimersi senza tener conto di questi elementi, nel negare semplicemente l'astratto e l'astrazione come realtà, ma considerarla solo comodità per l'esprimersi.

Infinto non vuol dire perfezione, e la perfezione non è necessariamente un'indispensabile elemento del linguaggio. Per paradosso possiamo dire perfetto quel linguaggio che non soggiace a nessuna astrazione ma che è spiccato direttamente dalla materia e riposa in essa agevolmente. E' paradossale perché la parola astrazione, come la parola spirito, sono fra le tante che non hanno un riscontro reale, cioè spirito è ciò che non è dato toccare. (E.T. 48)

Pare che la visione generale sia nociva per chi deve creare, contrariamente all'opinione comune a tutti. Il discorso ha inizio e origine, da una pennellata. Per me è impossibile una costruzione a priori, ma sempre possibile un'eventuale correzione o ritorno sul getto. Dal particolare all'universale è la via segreta della creazione. Dico segreta perché, seppure ognuno affermi che così ha fatto anche il Creatore, si pensa sempre a gruppi, a settori, mentre in realtà ha dovuto fare anche ad uno ad uno i petalini delle rose canine.
Di fatto l'uomo parte sempre da un particolare; è un particolare che richiede un paesaggio intorno a sé e così, aggiuntivi particolari intorno, a loro volta esigono un paesaggio e di questo passo è possibile la creazione di un mondo. L'idea (immagine) è sempre il punto centrale di un qualche cosa che è il rapporto in continuo divenire noi-natura e tutto il resto. Non essendovi un confine fra queste due realtà che sono sì una, (ma in realtà due: sostanza materia e sostanza non materia), ma solo concettualmente noi scopriamo la legge del particolare. Un'insieme di particolari formano necessariamente un'architettura; qualora, chi li osserva, sia in grado di ottenerne il concetto, l'espressione. Questa architettura è architettonica in quanto è fatta di incontri necessari; così ha origine la frase: il segreto della melodia, l'essenza del fatto lirico. (E.T. 48)

(39/55) - Dare all'istinto plastico un linguaggio nel quale possa riconoscersi e quindi affinarsi e procedere.
La geometria può essere di qualsiasi teoria: euclidea, nucleare, ecc. ma una cosa resta invariata: la soluzione compositiva che è sempre ortogonale cioè sempre riferentesi al piano del quadro. (E.T. 48)

(27/39) - La mentalità di un artista plastico si rivela attraverso il linguaggio in sé, linguaggio come espressione e non attraverso gli attributi extra plastici degli oggetti o soggetti rappresentati. Ad esempio, una scena di case: per un romantico, è diversa che per un razionalista o per un mistico.
La scala giusta di una cosa rappresentata è l'elemento concreto dell'immagine, è l'essenza stessa, misteriosamente realizzata dall'intuizione. Non si sa cos'è arte, ma però si vede.

"colori, luce, penombra, ombra"
La luce arriva qui in questo mondo buio, circola, sbatte, rimbalza, si riflette, gioca meravigliosamente, ma tutto ciò che è da lei rivelato, è da ricordarsi che è di natura diversa da essa luce; è notturno, terrestre, opaco, doloroso. Il peso e gli attriti non hanno una vita felice, solo la luce, fluido regale, da un altro mondo, ci da la suprema illusione che lei stessa sia cosa terrestre.


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