Il Mondo di Eugenio Tomiolo (E.T.)

Opere Pittoriche

EUGENIO TOMIOLO
UN'EPOPEA DEL QUOTIDIANO
di Roberto Tassi
- Milano, 1991

Natura morta-Astice, 1956 - olio su tela, 38 x 61 cm

Natura morta-Astice, 1956

olio su tela, 38 x 61 cm

Barche a secco e cantiere, 1960 - olio su tela, 68 x 86 cm

Barche a secco e cantiere, 1960

olio su tela, 68 x 86 cm

Asse del mondo, 1968 - olio su tela, 60 x 50 cm

Asse del mondo, 1968

olio su tela, 60 x 50 cm

Sul Sile, 1971 - olio su cartone, 50 x 70 cm

Sul Sile, 1971

olio su cartone, 50 x 70 cm

Aringa, 1975 - olio su carta tela, 51 x 71,5 cm

Aringa, 1975

olio su carta tela, 51 x 71,5 cm

Cantiere-mare (Ritmico), 1975 - olio su tela, 59 x 83 cm

Cantiere-mare (Ritmico), 1975

olio su tela, 59 x 83 cm

Due vasi di fiori, 1979 - olio su cartone, 50 x 71 cm

Due vasi di fiori, 1979

olio su cartone, 50 x 71 cm

Maga pescatrice, 1988 - olio su tela, 88 x 125 cm

Maga pescatrice, 1988

olio su tela, 88 x 125 cm

Ida - olio su carta oleata

Ida

olio su carta oleata

Un amico - olio su carta oleata

Un amico

olio su carta oleata

Paesaggio urbano - 1960, olio su carta oleata

Paesaggio urbano, 1960

olio su carta oleata

Mi accingo ancora a scrivere sull'opera di Eugenio Tomiolo, dopo averlo fatto poco più di dieci anni fa per introdurre una mostra che l'intelligenza di Emilio Bertonati e la sua scopertissima sensibilità avevano scelto e ordinato nella famosa Galleria del Levante. Con quelle doti e con quell'occhio penetrante, quasi infallibile, con la psicologia attenta ai fatti dell'arte più devianti, più diversi, più fioriti sui margini, Bertonati si era molto appassionato alla vicenda di Tomiolo e aveva subito sentito di trovarsi davanti a un artista di inconsueto linguaggio e di ricca fantasia, un artista la cui grandezza era ancora tutta da misurare, ma che, nell'indistinto di una vasta opera sconosciuta, sembrava delinearsi molto diramata e reale. La dolorosa scomparsa di Bertonati lasciò ogni cosa sospesa e Tomiolo tornò, anzi rimase non essendo ne mai uscito, nella solitudine, nel silenzio e nella tranquilla passione del suo lavoro, e per un altro decennio continuò a creare pittura molto bella, ora lirica, ora allegorica, ora di solida verità, ora di sogno, poetica e ispirata, come aveva sempre fatto, senza tenere in nessun conto, o quasi, i movimenti di ogni tipo e colore che gli si agitavano intorno. Mi accingo a scrivere di nuovo e sono, come allora, subito invaso da due sentimenti, che possono sembrare in contrasto, uno di piacere e quasi di gioia, di appassionata soddisfazione, e l'altro quasi di angoscia, come una vertigine di fronte alla vastità dell'impegno e alla difficoltà dell'interpretazione. Il piacere è di trovare un pittore che sconcerta, spiazza e contraddice coritinuamente i critici e gli storici dell'arte; che hanno bisogno, per una tranquilla comprensione, di situarlo entro un tempo, un'atmosfera, un periodo, un'area; di trovar gli ascendenti, influenze, rapporti con altri pittori o con altre poetiche, insomma di creargli una sistemazione che lo tenga in equilibrio entro un sistema; poiché molto spesso nella storiografia di questi storici si spiega un artista per mezzo di un altro, un'idea con l'aiuto di una diversa, che nell'insieme formino gruppo, struttura, continuità. Mentre Tomiolo è fatto apposta per lasciar sconcertato e deluso chi si serva di un tal metodo per avvicinarlo; poiché questo nel momento che si aspetta una cosa ne trova un'altra e seguendo allora la traccia di quest'altra viene riportato indietro a una precedente, o di lato a una terza ancora diversa; e può capitargli di vedere vicine, nate nello stesso periodo, opere che sembrano una all'altra lontana e quasi opposta, o addirittura, se non fa molta attenzione, che non sembrano dipinte dallo stesso pittore. Tomiolo è imprevedibile, e non nel senso della poesia, il che sarebbe abbastanza normale, ma perché segue impulsi e cammini tutti misteriosi o nascosti, attento solo alle proprie interne voci, alla propria natura e fantasia, e anche alle proprie manie e utopie. È un artista totalmente libero. Passa da un'immagine all'altra, da una natura morta a un paesaggio, da un pesce a un fiore, da un contadino che falcia a un giardino notturno, da una composizione fatta di ritmi a una finestra, da un ritratto a un'allegoria, e può sembrare che tutte queste "figure", queste invenzioni, abbiano modi diversi, testimonino un rapporto con la realtà sempre diverso e non appartengano quindi tutte allo stesso mondo poetico. Perciò si è parlato di eclettismo; lo ha fatto con molta cautela Francesco Porzio: "Riesumando un termine che non fu mai benevolo, nell'antica storiografia dell'arte, si potrebbe parlare di eclettismo", e ha subito rettificato: "ma in tal caso il nostro raffronto con Tomiolo dovrà subito arrestarsi, poiché in lui la modulazione stilistica non è mai citazione esteriore o parodia, ma variazione di intensità o direzione di un moto interiore di aderenza alla vita, alla sua intima contraddizione". In realtà infatti il mondo poetico di Tomiolo è unico, ma molto ricco, rigoglioso di tutti i sentimenti e le idee che non hanno mai bisogno di confrontarsi con l'esterno, conia moda corrente, lo spirito del tempo o altro, poiché seguono una propria nativa, e assolutamente autentica, motivazione, propri sentieri vergini, freschi e non contaminati. L'opera di Tomiolo, nel suo complesso, è quindi totalmente varia e di cronologia così complicata e poco decifrabile, che può produrre appunto, a volerla abbracciare tutta con una sola intenzione interpretativa, quel senso vertiginoso e quasi di sottile angoscia accompagnato e complementare alla felicità della forza poetica. Come si vede anche in questa mostra, che offre esemplari scelti lungo tutto il tempo del suo lavoro, dal 1941 al 1988. Ma, come non è molto difficile capire anche da questa mostra, una così gran- de mole di attività, di opere, tanti divergenti temi, il fitto incrociarsi di sentieri e di direzioni, la variabilità dello stile, a volte della struttura, a volte della luce, gli accordi riccamente diversi dei colori, non indicano frantumazione, incoerenza o casualità, ma trovano il loro momento, la loro misura e il loro posto entro una visione continuativa, armonica, che li unisce, li accomuna, li giustifica. Tomiolo è un artista intero, totale, coerente, non distratto da fattori esterni, da esterne intenzioni; la sua opera nell'insieme, se ben guardata, meditata e capita, sta come un grande blocco, come un diario ininterrotto di un poeta ispirato, di un uomo attento alla ricchezza e alla bellezza della realtà. Bisogna scoprire, rendere palese, in questa opera, ciò che la tiene unita, tutti quegli elementi di fondo, non appariscenti ma ininterrottamente in funzione, che la riconducono a un'unica sensibilità, a un'unica essenza, a un unico grande tessuto tra punto di colori e di luci.

E anzitutto conviene riprendere una frase di Tomiolo scoperta da Porzio tra le carte dei suoi disegni e riportata in quello scritto che ai disegni appunto era dedicato: "Amare è intendere; intendere senza amare non è dato". Che l'amore fosse considerato il tramite nascosto e indispensabile per una comprensione minuziosa e approfondita della realtà, lo si sentiva, chi abbia una sensibilità scoperta, a guardare le opere più diverse di Tomiolo. E già un tramite di questo tipo esclude, in rapporto alla pittura, molte cose, la visione astratta, la costruzione razionale, il distacco, da un lato; e un realismo violento, critico, eccessivo, dall'altro; esclude modi espressionisti fissati tra il drammatico e l'ideale. Favorisce la partecipazione, il contatto, un rapporto diretto con la realtà, che la intenerisce, la illumina, la rende consistente e fragile, e permette di giungere a una forma priva di ogni durezza, duttile, mossa, a volte sfumata, a volte dilagante, imbibita di luce, impastata d'ombra, rorida, vibrante anche quando riproduce grandi corpi di animali, tori, cavalli, pesci o pecore; servendosi di un colore adatto a ogni vibrazione dettata da quell'impulso partecipante, un colore che si screzia, si insinua, si diffonde, si armonizza, un colore che si moltiplica nei rapporti tonali.

Nasce da tutto questo una tenerezza amorosa che non manca mai nella pittura di Tomiolo, e che ne è anzi essenza. E il fondo su cui si adagia, anzi su cui cresce, come fosse il terreno più adatto a un rigoglioso sviluppo, è, attraverso questo capire con amore, l'apertura, come un abbraccio tranquillo e passionale, verso il mutevole volto del mondo, e di tutte le cose che lo abitano, oggetti, uomini, animali, frutti, natura, stagioni. Non è vero realismo, ma l'impossibilità a staccarsi dalle amate parvenze, da ciò che gli occhi del pittore vedono tutt'intorno nel susseguirsi dei giorni; e poiché la vita del pittore è avventurosa solo interiormente e quei giorni sono tranquilli, non tanto diversi uno dall'altro, ne nasce una grande epopea del quotidiano. Entro la quale i temi variano secondo il variare dei desideri e delle occasioni, mai secondo i dettami dei movimenti e dei rinnovamenti che imperversano nell'agitato campo dell'arte.

Cosicché può apparire, nel 1955, un Inverno dato per macchie scure, per bianche esplosioni e per cristalli d'azzurro, una sintesi poetica ottenuta tutta per sensibilità e per suggerimenti d'atmosfera; mentre venticinque anni più avanti, nel 1981, una grossa zucca entro un canestro appoggiato sul pavimento sono dipinti con sottile precisione, con tocchi di luce vera, con sostanza poetica di realtà. E se il quadro intitolato Ritmo marino e collina, del 1951, appare come un mobile compenetrarsi di ondulazioni azzurre dove terra e mare si confondono poiché vi è colto ciò che domina il movimento della natura, cioè il ritmo, e sembra che questo si risolva con una astratta ripetizione; in un altro del 1971, intitolato sul Sile, ogni cosa è minutamente e sottilmente perquisita e amorosamente descritta, l'acqua appena infranta dalle piccole onde, la barca immobile e i suoi riflessi, l'esile pontile, i cespugli sulle rive, i granchi enormi nel primo piano, mentre una tenue luce rosata circola nel mondo e unifica, facendoli della stessa sostanza, cielo, acque, animali e imbarcazioni, come se l'immagine fosse un ricordo sognato. L'apertura verso la realtà, questo rapporto ineliminabile, così intenso, è come un voler toccare le cose, credere nella loro vita per poterla riprodurre; e credere nella pittura come a questa vita trasposta, ripresa dalla realtà, anche nelle sue minime e più modeste presenze; continuare a percorrere quella grande, lunghissima via dell'arte per protrarla anche nel futuro, come per consegnarla a chi seguirà; fare ciò che i pittori hanno sempre fatto. Ma ora, senza il sostegno della religione, e della pittura religiosa, senza quello della pittura storica, dovendo affrontare la frantumazione, con il conseguente sentimento del tragico, prodotta dalle avanguardie, e dovendo aggirarla, superarla o vincerla, resta solo questo forte attaccamento alla verità delle cose, a quella prosa quotidiana del mondo da dover trasformare in poesia, per mezzo delle immagini, delle forme e dei colori, che sono gli strumenti di cui dispone Tomiolo. Resta la vita, su cui fare le proprie riflessioni. Tomiolo, pittore molto intelligente, non crede all'intellettualismo; meno che mai all'estetismo. Ha bisogno di palpiti, di sogni, di seguire le tracce dell'esistenza: e se talvolta gli vien fatto di parlare per allegorie, queste anzitutto sono affondate, figurativamente, nella vita, poi sono quasi sempre utopiche; poiché Tomiolo sa, nella sua esperienza esistenziale, che l'utopia non è un'astrazione, non è un fantasma che svanisce alla luce del giorno, ma è l'unico modo concesso a chi ha fede nella vita per non tradirla, e, più spesso di quanto si creda, è una profezia giusta, una reale premonizione del futuro. Tomiolo non è ingenuo, meno che mai nel senso che si usa per i pittori popolari, né è un "primitivo"; è piuttosto, a veder come usa sapientemente il colore, un raffinato artista; c'è nel suo stile un elemento di nobiltà che sembra provenire dal fondo morale. Siamo giunti così alla parola che funziona anch' essa come elemento unificante di questa variabile vicenda, la moralità dell'uomo e la moralità dell'opera, che è come dire veri, l'uno e l'altra, e irregolari, oggi. Per tutto questo si ricorda una frase di Mario De Micheli in uno dei primi scritti su di lui, anno 1967: "In realtà è proprio questo, mi pare, il centro vitale del mondo poetico di Tomiolo: proprio tale sua forza gentile, tale tranquilla passione, che s'inalbera solo davanti alla distruzione della natura e dell'uomo, aspirando ad un umano Paradiso terrestre, fatto di semplicità, di rapporti veri e fondato su di un 'patto di alleanza senza riserve mentali:. C'è poi la frase di un poeta, Francesco Loi, che, su quel rapporto dell'arte di Tomiolo con la vita, dice l'essenza: "È necessario vestire di naturalezza la verità che vive, darle la concretezza della creatura". La pittura di Tomiolo è infatti creaturale; tocca le cose più semplici, le cose umili e grandi, quelle che stanno intorno a noi, dentro le stanze e dentro la natura, a volte quelle che stanno dentro i nostri sogni e desideri, e infonde loro, con il colore-luce, la vita. Sul colore di Tomiolo molto resta da scrivere, bisognerebbe farlo quasi quadro per quadro, poiché esso è proprio quell'elemento, o almeno il primo degli elementi, che determina la variazione dell'opera e, nello stesso tempo, la sua unità. Il colore ha una sostanza, di luce, di morbidezza, di vibrazioni, che, a seconda che il loro dosaggio e il loro rapporto si modifichi, dà variabilità all'opera, ma che rimane, come sostanza, sempre uguale. Il colore è, originariamente, di tipo tonale; pur con tutti i cambiamenti che l'immagine e l'idea di volta in volta richiedono. E su questo io stesso ho già scritto in altra occasione. Basta ora ricordare che Tomiolo è veneziano; che è vissuto tra il 1937 e il 1940 a Roma; che è approdato a Milano in tempo per partecipare, direttamente o indirettamente, al movimento, o almeno al clima, di "Corrente". Tre città dove è fiorita la pittura tonale, pur con tutta la diversità di modi, di intenzioni, di spirito, che sono ben conosciute dato che la storia dell'arte le ha definitivamente registrate.

Ma prendiamo, per fare un esempio di cosa sia il colore di Tomiolo, quattro quadri con immagini di pesci, che sono uno dei suoi temi più frequenti, più affascinanti e più felici; e scalati nella cronologia di un decennio, tra gli anni Cinquanta e Sessanta. Calamaro del 1957 è come affocato di un giallo arancione che stende una luce uguale, dorata, solare, per tutto il quadro; e su questo piano vivo di sottilissime vibrazioni è adagiato il grande corpo del mollusco scuro, ma non tanto che i riflessi di quella luce non lo trapassino. lievemente inumidendolo. Pesce San Pietro-Finestra del 1958 è invece quasi drammatico, poiché la massa un poco mostruosa dell'animale occupa gran parte dello spazio; qui la tonalità è tutta azzurra, blu e viola, notturna, ma vien ravvivata da strisciature di rosa, rossi. lievi gialli, sottili verdi, che fanno di quel corpo una stupenda, e quasi gioiosa, palla cromatica. Il Grande astice del 1962, poi, è una festa di toni che trapassano dal rosa all'azzurro al giallino in delicatissima fusione. Natura morta-P sci (Rosso e grigio) del 1965 è come una lunga fascia maculata di rossi vivi contro il tenue grigio diffuso del fondo. Sono modi molto diversi di usare il colore; ma unico è il sentimento della realtà: e non mi riesce di caratterizzarlo che dicendolo poetico. Questo è ancora un fatto unificante e vuole intendere che quel sentimento ha il senso della bellezza, contenuta ovunque, a saperla vedere, nelle cose; e stabilisce con la realtà un rapporto di accettazione, di armonia, più che di contrasto o di rottura; e tocca le essenze, l'essere delle cose, dove ogni volgarità e durezza si sciolgono sotto lo sguardo severo e tenero, contemplante e discriminante. Non che Tomiolo voglia rifuggire dal dramma, e a volte anche dal tragico, che l'esistenza e la verità delle cose in abbondanza contengono e producono; non che si voglia nascondere e voglia esimersi dal denunciare. Ma lo fa con quella malinconia, alta e sottile, che distende a volte sul reale, delicatamente avvolgendolo; e lo fa con una presentazione allegorica.

Basterebbe quell'intensa meditazione sulla morte, a suo modo religiosa, che è Cranio-chiodi del 1965, o la serie di lepri uccise, e qui Lepre scuoiata pure del 1965, o Ecatombe del 1954, e quell'altra serie impressionante delle Carni macellate. Il senso del tempo, della morte, della corruzione, della necessità di uccidere, scorre entro questi quadri; ma sempre con quel modo poetico di vedere, di interpretare, di sentire, che non giustifica, ma riscatta; è un pegno positivo alla continuità della vita.

Poiché un'alta pietà, un'antica accettazione, lo sostengono e lo nutrono. Mentre le allegorie, concentrate soprattutto in tre serie, dell'Industria fiorita, del Sonno d'Europa, della Maga pescatrice, contengono, in modo mediato, o utopico, o simbolico, una denuncia e una condanna; ma come favole morali, e sempre con quel sentimento poetico della realtà, pure se ora è trasformata in immagine fantastica. Anche in questi quadri è ancora la varietà, il rinnovamento continuo quadro per quadro, del colore, sempre così mobile, luminoso, tonale e ricco, è ancora la bellezza della pittura, che ci emozionano e ci incantano. E ci fanno ritornare, per concludere, sulla speranza che un artista come Tomiolo sia finalmente conosciuto, capito e onorato come merita.

Roberto Tassi


Divider


Torna alle Opere Pittoriche


© Copyright - Tutti i diritti riservati di EUGENIOTOMIOLO.IT - Powered by Atigra