serie di 12 acqueforti
1943 - 1944
acqueforti su zinco 250x310
Attenti, uomini, sembrano dirci, in noi manca
ogni diritto, ogni cultura, ogni pietà;
sembriamo scrutare persino nel momento della morte
se tra noi qualcuno potrà punirci oltre,
se dobbiamo diffidare anche delle nostre,
più che delle vostre ragioni, se siamo
costretti a spiarci per sempre,
caso mai qualcuno sognasse in noi
la bellezza.
Francesco Loi
Due aspetti della convivenza contemporanea mi colgono, come un'angoscia, ogni qualvolta l'occasione mi propone di scrivere. Sono come due momenti di una sola e medesima malattia, cui ogni giorno dà pensiero il vivere, ma giunge, ammonivano gli antichi, «come un uomo che viene nella notte»: è la malinconia, quest'umore mortale, simile alla verità dalle molte facce, di cui due sono l'intolleranza e la passività nella creazione, o sordità alla bellezza.
Sembra che un patrimonio culturale - civiltà - produca sulla « quantità umana» effetti diversi dalle cause. Dostojevskij si doleva della sovrabbondanza del cartesiano «esprit de geometrie », e, meditando Lukacs, possiamo dire, sì, «l'irrazionale è il fondamento di ogni intolleranza» ma esso è spesso presunzione della razionalità e trova nei postulati della ragione le più incorreggibili giustificazioni.
Il nostro secolo ha visto gli effetti delle ideologie, i campi di sperimentazione «scientifica», gli stermini motivati dalle scienze e dalle filosofie, il ritorno all'esercizio della tortura fisica e psicologica, la relega dell'intelligenza critica e la negazione dello spirito creatore. Le società sembrano riproporre, in epoche dissimili, forme alterne d'idolatria e riti sacrificali; e le caste della potenza, presuntuose appunto di «sapienza» e di «autorità», sentenziano e operano nello spirito della «strage degli innocenti»: tutto ciò che non è conforme non esiste, e, se esiste, è degenere, perciò inaccettabile.
La passività umana causa, nel campo della creatività, due atteggiamenti soltanto in apparenza opposti, il velleitario e il perfezionistico. Il primo accetta il «fattuale» nella sua caoticità e apparenza - si pensi ai non ovvii richiami teorici: il dinamismo, il perenne mutevole, il futurismo, l'astratto, ecc. -, contribuendo al pop e al kitsch; il secondo è, essenzialmente, ripiegamento sul passato, tende ad assumere a «modelli eterni» forme analizzate di creazioni precedenti - i suoi riferimenti sono le «culture»: il classico, il barocco, il romantico, ecc. -, stabilendo l'accademia, con le sue regole e i suoi dogmi. Si attua un processo di separazione delle «forme create» dalle loro «strutture creative», nell'uomo e fuori dall'uomo, spostando così il senso della creatività al culto dei morti e delle loro opere, e alla compiacenza della negatività e del cattivo gusto. Nell'uomo passivo, e nella società figlia del vuoto, si diffonde la peste della malinconia, e con essa la violenza e l'indifferenza verso la divinità.
Nel Catalogo dell'Opera grafica di Tomiolo, curato a Milano da Tabanelli, c'è una affermazione di De Grada, subito dopo aver trattato delle acqueforti su zinco dedicate alla Resistenza: «Tomiolo sente anche che la guerra non è stata soltanto un brutto sogno, che ritorna ogni tanto come un incubo. La guerra l'hanno fatta gli uomini e gli orrori sono stati compiuti dagli uomini. Gli uomini sono ancora malati». Le acqueforti di Tomiolo contengono questa compresenza della storia, questa immagine atemporale e perciò ancora «presente» della violenza. Alle divise e agli uomini dell'ordine e della legge convengono i renitenti, le vittime, gli abiti civili, i piedi scalzi. Non ci sono soltanto nazisti e fascisti che impiccano e fucilano partigiani, traspare la società dei lumi che non si è fatta, l'ordine militaresco che impone il suo «esprit de geometrie» a chi non si sottomette, la violenza organizzata dei poteri che induce le violenze disperate degli esclusi, dei messi al bando. Per usare una espressione dell'artista, «la cronaca è una mediazione, ma noi cerchiamo di risalire al punto in cui le cose sono uguali a se stesse»: un corpo abbattuto in un campo di grano, su cui crescono ancora spighe, e tra i frumenti si aggirano teste d'uomini ignoti e inquisitori; un cavallo curva col dorso lo spazio alla terra, le froge basse, che non veda colui che, dietro la groppa, si accinge a partire tenendo una benda davanti agli occhi; e una madre socchiude l'uscio di casa: appeso al chiodo c'è il suo bambino; come rannicchiati, infantili, sono coloro che il badile contadino e gli stivali militari sembrano ancora sfidare con la violenza.
Aggiunge Tomiolo: «E' necessario scrutare il vuoto, tenere gli occhi fermi nel buio, e chiedere la luce. Lo spazio che s'illumina: ecco un'immagine». Le due tendenze negative dell'estetica contemporanea sono qui escluse da un procedere che è l'a-priori di ogni attività d'arte: la luce è principio e fine dell'operare. Là dove la luce s'addensa s'impone l'opacità, e opachi sono tutti i tentativi di «anelito al futuro» e «ripiegamento sul passato», rimanere nel generico della profana profezia o attendere alla perfezione «culturale», poichE' essenziale alla luce è il «farsi presente del tempo», mediazione qui della sua qualità primaria, l'atemporalità. L'acquaforte Impiccagione è esemplare. Semplice e rudimentale come ogni rito vivente la cronaca: una forma tonda di berretto militaresco, un cappio disciolto al di sopra di una travatura, una figura a braccia conserte che osserva l'impassibile corporeità dell'appiccato; impalpabile e soffusa la luce: poche linee aperte ad uno spazio di cui si sente la «ricchezza di presenze possibili», in tutta la loro possibilità di apparizione, solo che la luce si sposti tra quelle tenebre.
E questo stesso procedimento svela l'ossessione eterna della violenza: dove manca la luce, nel campo sociale predomina l'intolleranza e nel campo individuale la passività. Dice ancora l'artista: «Aspirazione di un uomo libero è aspirazione alla bellezza; nello schiavo c'è desiderio di forza». Come insegnava Socrate, «verità, bene e bellezza sono una cosa sola», e non è forse detto in Genesi: «E Dio vide che la luce era buona»? C'è corrispondenza tra idea, movimento e creazione, e c'è in tutte le cose create, che sono indifferenti nell'oscurità, ma divengono, e si diversificano, e quindi «sono», come forme, nella verità della luce.
Nella povera casa contadina, L'ospite è il militare-intellettuale con gli occhiali; una seggiola a capotavola è vuota: chi manca? C'è una presenza che turba e un'assenza che angoscia. Il chiarore illumina tutte le cose, così come esse erano nelle tenebre tali rimangono, indifferenti al giudizio, nella luce. Ma la luce è «buona» e chi le oppone resistenza l'addensa: ecco perchE' le cose appaiono diverse, qualcuna persino «cattiva».
Così, dal Risorgimento alla Resistenza, e dal «giorno dei giorni» alle cronache che ci coinvolgono nel loro ossessivo gioco delle parti, e quindi di passioni, o di affrancamento da esse, la luce rischiara le antitesi che caratterizzano la vita. Sembra che l'ospite non se ne sia ancora andato. La presenza che turba è quella dell'intolleranza, l'assenza che angoscia è quella della persona umana e del rispetto che essa dovrebbe avere di se'. Si guardi bene dentro questi fatti, si osservino le immagini di Tomiolo. Il biondo è stato dimesso ha la forza delle cose che accadono, e quella finestra è un'intuizione allucinante; La soffiata è come un teatro: ogni figura trova, con le cose, la sua esatta collocazione in una vicenda odierna e antica insieme: persino la luna ha umane movenze di cartapesta; e gli occhi, sbiechi e attenti, e lo smisurato corpo senza dignità dell'Appeso, hanno la cupezza dei feticci.
Attenti, uomini, sembrano dirci, in noi manca ogni diritto, ogni cultura, ogni pietà; sembriamo scrutare persino nel momento della morte se tra noi qualcuno potrà punirci oltre, se dobbiamo diffidare anche delle nostre, più che delle vostre ragioni, se siamo costretti a spiarci per sempre, caso mai qualcuno sognasse in noi la bellezza.
Francesco Loi
© Copyright - Tutti i diritti riservati di EUGENIOTOMIOLO.IT - Powered by Atigra