Le 30 maghe pallide
LE MAGHE
Le trenta matrici incise da Eugenio Tomiolo nel 1981 sono state riprese e terminate solo oggi, a distanza di oltre dieci anni, attraverso un meticoloso e costante lavoro condotto assieme allo stampatore Vincenzo Alibrandi. Dopo questa lunga sedimentazione l'opera, intesa come "in-folio", vive in questa cartella dal titolo "Le maghe".
La "maga" (raffigurata nelle sue fattezze steatopigie, quasi antica divinità della fecondità, o sintetizzata in pochi tratti come espressione dell'eterno spirito femminile) rappresenta, ormai da molti anni, uno dei motivi centrali delle opere di Tomiolo ed è il fulcro ideale di queste tavole.
Intorno ad esse si muove un universo ridotto a pochi elementi essenziali, l'acqua, la terra, gli animali acquatici, le reti da pesca, parchi tratti di paesaggio. La figura della maga, spesso seduta sulla riva, domina questa dimensione "palustre", che richiama le origini veneziane dell'artista. Tomiolo dipinge e incide, con sempre maggiore insistenza, ciò che conosce fin dalla nascita, che ha vissuto, assimilato e non deve quindi descrivere, narrare, ma soltanto richiamare alla memoria. Quello che potrebbe presentarsi come un visionario mondo poetico è, invece, continuamente sferzato, interrotta da una profonda ironia, che spezza l'incantamento con grande forza espressiva e apparente giocosità. Ne risulta quindi un mondo sconnesso, dove gli elementi acquistano un aspetto inconsueto, in qualche maniera buffo. Forse è il "mistero buffo" della vita, che, in queste opere della piena maturità dell'artista, avvolge la sua esperienza della realtà.
Esperienza essenziale nella sua arte, che non sfocia però in alcuna forma di realismo, ma piuttosto in un "continuo tentativo di accesso al reale". É un percorso interno all'essere delle cose e degli uomini. Quella che ci appare, fugacemente colta con brevi tratti, è una realtà interiore, sintesi di una vita dedicata all'arte di evocare la propria spiritualità e quella dell'uomo attraverso il segno.
In Tomiolo il segno, ed in particolare quello incisorio, merita un discorso a parte. La punta corre sulla cera, con la destrezza della matita sulla carta e raramente si avverte il lungo lavoro che media l'idea iniziale ed il risultato definitivo. Non pare esistere passaggio intermedio: la tecnica scompare; egli rende secondario il mezzo, mettendo in primo piano la libertà espressiva, che nasce dalla padronanza di un mestiere praticato fin dal 1930.
Il suo tratto attacca i contorni, li spezza, li modifica, togliendo loro durezza e definizione, per dargli movimento vitale. Continuamente i segni si sovrappongono, ritornano, insistono, si aggrovigliano, si svolgono con fluidità o si compongono di brevissimi segmenti e, liberi da imposizioni formali, si muovono all'interno della tavola con la sicura incertezza di ciò che appartiene all'esistenza e non alla letteratura. Ogni elemento ha, infatti, un segno suo, che gli è proprio, che sembra essere interno ad esso e scaturirne naturalmente. Ognuno risulta quindi diverso dall'altro, ma diverso per differente "natura": la natura delle cose della vita.
I segni per Tomiolo sono poesia dell'anima e, rivelandosi con il fascino di ciò che è espressione del mistero della vita, non tendono a delineare, ma a trovare lo spirito degli elementi. Il suo percorso di uomo, prima ancora che d'artista, è volto alla ricerca di questo mistero. Esiste indubbiamente in questa visione di Tomiolo un aspetto di profondo esoterismo, che è necessariamente presente quando l'uomo tenti di penetrare le ragioni profonde dell'esistere. Ma il "climax" raggiunto è sempre e comunque rimesso in discussione dalla cruda leggerezza dell'ironia, perché Tomiolo conosce quanto sia importante cercare il mistero e come sia banale tentare di definirlo.
Gli scarti fra una tavola e l'altra sono forti, seppur la composizione, utilizzando come centro di emanazione se non la figura, lo spirito della maga, risulti fondamentalmente aperta e tenda a dilatarsi. Si passa da una visione in cui i rimandi figurativi sono evidenti, ad altre dove gli oggetti, gli elementi, sono sintetizzati in tratti concisi, ma ciò che le lega strettamente e ne fa un corpo unitario è il "clima magico", che il segno riesce ad individuare non attraverso un simbolo, ma per la sua forza evocativa e, allo stesso tempo, a spezzare con la sua vena ironica. Non metafora o allegoria quindi, ma "rimando", memoria dell'elemento naturale, che si fa barlume continuamente interrotto della visione.
Andrea Alibrandi
Firenze - marzo 1993
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