Paris, 1972
Esposizione dal 28 settembre al 26 ottobre 1972.
200 stampe originali di Eugenio Tomiolo.
Prefazione * di Claude-Roger MARX.
Galleria J. P. R. 27 rue de Seine PARIS.
UNA RIVELAZIONE: EUGENIO TOMIOLO
Non aver avuto altra ambizione se non quella di arricchire e sviluppare con tenacia la sua cultura e la sua opera,
limitando, fino alla sessantina, la diffusione di gran parte della sua produzione artistica alla cerchia degli amici;
essersi dedicato con pari abilità a molteplici discipline (pittura al cavalletto, affresco, lavori di restauro, mosaico,
scultura) senza mai cedere alle parole d’ordine e alle eresie che hanno finito per contaminare il bacino mediterraneo;
aver percepito costantemente che l’uomo avrà sempre il bisogno che artisti e scrittori gli parlino dell’uomo e del suo
destino ("Questo è l’uomo", "La vita in dieci episodi", sono i titoli dati a parecchie sue incisioni), ecco i meriti rari
di Eugenio Tomiolo, nato a Venezia nel 1911.
La Francia non avrebbe avuto coscienza dell’importanza del suo apporto se duecento sue stampe (di cui una fra le più
vecchie, "Autoritratto", risale al 1930) non ci fossero palesate oggi in rue de Seine dalla Galleria J.P.R.
Incidere è sempre stato per Tomiolo un atto serio. Anche le sue lastre più rapide beneficiano di ciò che, parallelamente, egli ha dipinto ad olio o ad acquerello. Qualunque attrattiva egli abbia per il colore, per lui il disegno viene prima di tutto. É da innumerevoli annotazioni a matita , a carboncino, a seppia, a sanguigna, all’inchiostro di Cina, che è nata la maggior parte delle sue puntesecche o delle sue acqueforti accostate talora ad un numero minore di acquatinta. Esse sarebbero rimaste segrete, anche in Italia, senza il prezioso catalogo, pubblicato a Milano nel 1971, in cui Marcello e Rosalba Tabanelli hanno riprodotto circa 400 opere che, tranne qualche serie di illustrazioni, non erano state tirate che in uno scarso numero di prove.
L’umiltà di Tomiolo si consolida con la modestia dei materiali di cui si accontenta: lastre di zinco, di piombo o di celluloide. E’ un vero salvataggio che i suoi editori hanno fatto sorpresi dalla diversità dei processi che egli adopera, così come dalla diversità dei temi da lui e per lui solo, trattati con così tanto ardore e tanta innocenza senza mai cercare di piacere.
Da un po’ di tempo si abusa molto dell’espressione "hors serie". Essa si giustifica però quando si applica a questo unico e inclassificabile artista, solitario e ribelle a ogni influenza, a ogni moda, rispettoso delle sue contraddizioni e dei suoi contrasti, tanto egli è rimasto fedele, a dispetto delle apparenze, alla sua verità, ai suoi sogni, ai suoi entusiasmi, alle sue indignazioni e alle sue rivolte.
Parecchie volte, durante il fascismo, la sua protesta si è manifestata attraverso lastre allegoriche o vendicatrici come "Ecatombe di pecore", "Gli appesi", o la serie consacrata alla Resistenza. Ma, più che al Goya dei capricci e dei disastri, lo si sente vicino a certi nordici come Ensor, per un gusto del fantastico, della stranezza o del macabro ("Il funerale", "Stregone e luna"), del demoniaco; per una sorta di ironia che si accompagna al suo spirito contemplativo, alla sua tenerezza per gli animali domestici, i cani, gli uccelli, per l’universo vegetale che egli oppone al tragico, all’assurdo delle città moderne; per un senso dell’aldilà che permette a questo miscredente di attingere sovente la sua ispirazione dalle sacre scritture ("Crocefissione", "La resurrezione di Lazzaro") o di rendere verosimile ogni sorta di incantesimo.
Dettaglio non trascurabile, quando egli evocò Venezia lo fece evitando palazzi e gondole per estrarre invece dai meandri acquatici dei segni che poterono lasciar credere per un attimo che l’astratto lo tentasse, mentre al contrario egli è rimasto fedele alla sua personale realtà, voglio dire ad una realtà misteriosamente trasposta al riparo da ogni "fa presto" e dalle facilità di cui danno prova così bene i non figurativi inclini a servire le apparenze. Se confrontate le sue opere giovanili con quelle della maturità non appaiono segni di frattura. In poche parole, ciò che si manifesta in questo insieme di ritratti, di nudi o di nature morte in bianco e nero è l’unicum di un artista ispirato, come se ne contano pochi, non solamente in Italia, ma in tutta Europa.
Claude Roger-Marx
Parigi 1972
(*Traduzione a cura di Roberta Cagnoni)
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